Angeli dei Sette Chakra |
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Frida Kahlo - Autoritratto |
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Fu all’inizio degli anni ottanta che lessi, per la prima volta, di una pittrice messicana chiamata Frida Kahlo. La sorella di un’amica, che studiava all’Istituto Culturale Spagnolo di Napoli, mi fece pervenire un dépliant con alcune immagini dei suoi particolari dipinti.
Priva di altre notizie in merito, quelle poche pagine furono, per molto tempo, le uniche note che mi parlassero di lei.
In occasione di un evento artistico di pregio, sempre a Napoli, una decina d’anni fa, dedicato all’arte messicana, vidi alcune opere di Frida: tutte di piccole dimensioni (se la memoria non m’inganna).
Fra queste, ispirato ad un fatto di cronaca, c’era “Qualche piccola punzecchiatura” (conosciuto anche come “Qualche colpo di pugnale”), del 1934; la scena rappresentava una donna nuda, con una sola calza e una sola scarpa, sdraiata sul letto e trafitta da numerose coltellate.
In piedi, con aria spavalda, il coltello in una mano e l’altra in tasca, stava un uomo col cappello.
Il sangue inondava le lenzuola, scorreva sul pavimento e finiva col macchiare di rosso anche la cornice del dipinto.
Era la storia di una donna uccisa per gelosia.
Il candido omicida, una volta davanti al giudice, si era difeso dicendo: “Ma le ho dato solo qualche piccola punzecchiatura!”.
La scena dipinta colpiva l’attenzione per la sua dinamica drammaticità, ma lasciava intendere, metaforicamente, altre coltellate: quelle che le donne spesso ricevono, sempre a “tradimento”, e che possono ferire mortalmente…
Da noi Frida Kahlo è per lo più sconosciuta ancora oggi. Neppure l’evento romano di circa un anno fa – autunno del 2001, al Museo Nazionale d’Arte Moderna - che presentava sette opere, tra le sue più importanti, insieme a quelle dei più grandi artisti del Messico (come Siqueiros o lo stesso Rivera, suo marito), è stato sufficiente, credo, a dare niente più di una vaga idea del mondo singolare e della vitale passione di una tale donna. Tra i dipinti presenti a Roma c’era il minuscolo “La mia balia ed io” (1937), ritenuto dall’artista uno dei più significativi. Prendendo spunto da un avvenimento personale – da bambina non succhiò il latte della madre, ma quello di una balia india – l’opera rappresenta un collegamento più complesso con la cultura messicana precolombiana, di cui si sentiva figlia ed erede.
© Rosa Cassino - 2003 - Tutti i diritti riservati. È vietato utilizzare i testi senza autorizzazione.
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